Volontaria della Fondazione Gigi Ghirotti Genova
I miei fili intrecciati con la Gigi Ghirotti
“Avrei delle collane fatte da me da regalarvi, ma so che non le volete”
“E chi glielo ha detto?”
“Una signora al mercatino”
“Impossibile! Quella signora ero io e non ho potuto dirle nulla del genere!”
Se è vero che le amicizie più belle nascono da una scazzottata, il mio rapporto con Alda, storica volontaria della Gigi Ghirotti, nacque da questa telefonata piuttosto puntuta, nella quale, per inciso, avevamo ragione entrambe: io perché in effetti lei mi aveva detto che le mie collane non erano gradite, lei perché aveva aggiunto “a questo mercatino, ma interessano per quelli estivi”, precisazione che io avevo dimenticato. Il nostro rapporto comunque decollò e, anche se non mi sento di definirla un’amicizia, fu senz’altro una buona conoscenza, sostenuta da reciproca stima, con momenti di confidenza a cuore aperto che ancora ricordo. Io le recapitavo i miei lavoretti e lei era sempre molto cortese e generosa, aveva fiducia in me e un giorno mi appuntò come una medaglia sul petto la frase “Puoi portare direttamente al mercatino i tuoi lavoretti, anche senza che io li veda. Di te mi fido!”. Ci sentivamo una o due volte all’anno fino a quell’ultima telefonata nella primavera del 2020, quando eravamo tutti spaventati e impreparati di fronte alla pandemia e lei mi diede qualche buona dritta per preparare le prime mascherine “fai da te”, lei che, come mi disse, ne aveva già fatte tante per l’Associazione. Quell’anno passò in un tempo sospeso e quando, dopo Natale mi venne voglia di sentirla, non ebbi risposta; seppi dopo che ci aveva lasciato, ma, anche in suo ricordo, la mia collaborazione con la Gigi Ghirotti non finì.
Facciamo un passo indietro: da tempo avevo sentito parlare di un “buon professore” che si era fatto carico di alleviare le sofferenze dei malati incurabili e provavo per lui la giusta ammirazione, ma fu soltanto nel 2003, quando vidi le sofferenze di mia madre minimizzate dai medici, che il problema delle cure palliative entrò prepotentemente nella mia vita: lei ormai gridava ininterrottamente notte e giorno e i medici, sempre molto cauti, mi prescrivevano qualche goccina di analgesico. Quando finalmente uno di loro venne a casa a visitarla e la sentì lamentarsi, si decise a prescriverle un cerotto di morfina. Non fu semplice procurarglielo, ma dopo 24 ore finalmente potei applicarglielo, lei si assopì e dopo tre giorni ci lasciò serenamente.
Non essere riuscita a risparmiarle quel dolore fu e resta per me un cruccio, ma non potendo far tornare il tempo indietro per lei, ho capito che potevo almeno evitare questo strazio ad altri, come? aiutando quel “buon professore” e la sua associazione, la Gigi Ghirotti.
Qualche anno dopo, mi trovarono un’anomalia nel sangue e l’ematologo mi prescrisse accertamenti da effettuare presso l’Ospedale Gallino, nel padiglione gestito dalla G.G. e questa volta ho fatto esperienza in prima persona di come la cura possa essere anche empatica e gentile: mi fecero il prelievo mentre ero sdraiata su una poltrona fra due signore sottoposte a chemio e la mia fifa era alle stelle, ma l’infermiera aveva verso tutte una tale dolcezza e una tale vicinanza che mi son sentita in buone mani. Questo fu il secondo passo verso la mia collaborazione alla G.G. che nel frattempo era cresciuta e aveva meglio organizzato il volontariato delle cosiddette “Mani d’oro”, delle quali mi vanto di far parte.
Ai tempi di Alda, portavo un po’ ciò che avevo, ciò che facevo e quella fu la stagione delle presine e dei guantoni, delle collane (solo per i mercatini estivi!), dei tappeti da gioco, delle ghirlande, dei sacchetti di noccioli di ciliegie…Successivamente, mentre l’Associazione si preparava ad evolvere in Fondazione, giustamente si decise di dar voce alla Volontarie addette ai mercatini: loro sapevano cosa chiedono le persone, cosa va e cosa resta e quindi iniziarono per me i lavori su commissione: palline rivestite, bavaglioli ricamati, borse in cotone, corpetti per abitini da bimba, fiori di carta…, ma i lavoretti che più amo, e forse più mi caratterizzano, sono gli amigurumi [1] e lì ho spaziato dai pulcini ai conigli, dalle pecorelle ai pesciolini portachiavi e ora mi sto dedicando ai presepi.
Vorrei soffermarmi ancora su un altro aspetto del mio volontariato che considero malinconico e dolce al tempo stesso. Il materiale che uso proviene in parte dalle mie “riserve”, in parte da generosi regali di care amiche, ma in buona parte mi viene fornito dalla Fondazione, che a sua volta lo ha ricevuto in dono e non di rado mi è capitato ricevere matasse di cotone (e chi le usa più?), scatole intonse di filato sottilissimo da pizzi, gomitolini variopinti, chiari rimasugli di tanti lavori eseguiti, e tutti questi mi hanno parlato di case smantellate, di vecchie signore, che non ci sono più, ma che hanno lavorato tanto, che avevano colto un’occasione d’acquisto perché “prima o poi ci farò qualcosa di bello”, ma poi per realizzare quel qualcosa di bello non c’è stato tempo e allora mi sento in dovere di dare uno sbocco ai loro progetti, alle loro cose e ai risparmi fatti per acquistare quel materiale prezioso: io non ho né tempo né maestria per creare le deliziose trine, che le vecchie signore pensavano di realizzare, ma metto insieme due o tre filati sottili e creo borse da spiaggia, meravigliosamente resistenti. Le soddisfazioni nel tempo non mi sono mancate: anche se io non ho contatti con le persone che scelgono i miei lavoretti. Una volta feci una borsa con un punto molto piccolo e nastri passanti e la borsa…non finiva mai, ero veramente stufa di vedermela davanti, ma alla fine risultò graziosa. Quando tornai per portare altri lavoretti mi dissero che una signora aveva fatto per la mia borsa un’offerta doppia della minima richiesta, dicendo: “con tutte le ore di lavoro che ci sono!”
Quando preparo i miei lavoretti fantastico sull’offerta che potrà essere raccolta, su quali presidi potranno essere acquistati, su quanto dolore collaborerò a sconfiggere e questo mi dà un’enorme gioia, tanto che, quando le volontarie mi ringraziano, io rispondo sempre: ”Sono io che devo ringraziare voi per la gioia che provo nel farli!”. Inoltre ho partecipato a qualche riunione, ho conosciuto le altre volontarie e mi sono sentita veramente parte di una comunità; ho scoperto che il papà del mio ex alunno Daniele è impegnato come volontario nel punto accoglienza di Pra’, che il mio ex alunno Raffaele, ormai valente attore, è attivo nella raccolta fondi e nella diffusione, ho di recente provato il piacere di essere riconosciuta e ricordata dalle signore attive nella vendita, per non parlare della cordialità con la quale Cristina e le altre “ragazze” mi accolgono sempre nelle mie incursioni in ufficio e dell’affetto con il quale di recente mi sono state vicine in un momento difficile della mia vita.
Se dovessi sintetizzare il sentimento che provo per la G.G. direi che è soprattutto senso di appartenenza a una comunità disinteressatamente tesa al bene altrui. Per questo parlo a tutti della mia bella esperienza nella speranza di fare proseliti e di recente ho avuto la gioia di una mia amica che si è aggiunta con grande entusiasmo, sfoggiando indiscussa perizia.
In questo mondo dove odio, cinismo ed egoismo sembrano dilagare, dove molti si crogiolano in uno sterile pessimismo, pensare al professor Franco Henriquet, al suo impegno, vedere questo eterno ragazzo parlare con emozione di nuovi progetti, elencare con orgoglio, ma mai con boria, gli obiettivi raggiunti, è per me già un modo di capire che a ogni età si può fare, si può donare, si può progettare, insomma si può “dare vita ai giorni”.
[1] 編みぐるみ, è l’arte giapponese di lavorare all’uncinetto o a maglia animaletti o creature antropomorfizzate. Il nome è il risultato della combinazione delle parole giapponesi ami, che significa lavorare a maglia o all’uncinetto, e nuigurumi, che significa peluche. Gli amigurumi non hanno un uso pratico; sono creati e collezionati per ragioni estetiche. Loro caratteristica è essere kawaii. aggettivo giapponese che può essere tradotto come “carino”, “amabile”, “adorabile”, ma anche piccolo, buffo, dall’aspetto innocente, infantile. I personaggi kawaii, quindi, hanno lineamenti graziosi, proporzioni minute ed essenziali, occhi grandi, teneri ed espressivi e una gran quantità di dettagli e particolari.