Quando una persona che amiamo si ammala gravemente, il desiderio di proteggerla dal dolore si scontra con una realtà difficile: la malattia avanzata, spesso inguaribile, cambia tutto.
Tra i momenti più complessi c’è quello in cui emerge la domanda: “Quanto mi resta da vivere?”.
E qui inizia un confronto profondo tra il malato, la sua famiglia e l’équipe curante.
Verità o silenzio? Il dubbio dei familiari.
Molti familiari chiedono che la verità non venga detta. È una reazione comprensibile. Il desiderio di proteggere è naturale, così come la paura di generare angoscia o disperazione.
Ma nascondere la realtà, anche in buona fede, può avere conseguenze pesanti sul piano emotivo e relazionale.
La Fondazione Gigi Ghirotti, che da oltre 40 anni si occupa di cure palliative a Genova, si confronta ogni giorno con questo delicato tema e ha scelto una via precisa: la via della verità, mediata dalla cura e dalla condivisione.
L’incertezza della prognosi: un fatto clinico ed etico.
I medici di cure palliative sanno che prevedere con esattezza la durata della malattia è difficile.
L’andamento può essere molto variabile, soprattutto in presenza di terapie che modificano il decorso clinico.
Tuttavia, quando un malato chiede esplicitamente di sapere, l’équipe valuta attentamente il contesto, la forza della richiesta, le possibili ripercussioni.
Non si tratta di dare numeri o sentenze, ma di offrire una verità umana, realistica, sostenibile, che possa aiutare il malato a riappropriarsi del proprio tempo.
Familiari e malato: un dialogo interrotto.
Il rifiuto della famiglia di parlare apertamente della prognosi può trasformarsi, col tempo, in una barriera invisibile.
Da un lato ci sono i familiari che tacciono, convinti di proteggere. Dall’altro, c’è spesso un malato che intuisce perfettamente la gravità della situazione, ma che non osa parlare per non turbare i suoi cari.
Questo silenzio reciproco rompe il legame, genera solitudine, frustrazione e dolore psicologico, ostacolando la possibilità di condividere pensieri, desideri, emozioni, saluti.
Il ruolo dell’équipe: facilitare la verità, accompagnare la relazione.
L’approccio della Fondazione Gigi Ghirotti è chiaro: quando l’occultamento della verità danneggia il benessere del malato, è doveroso intervenire.
L’équipe di cura, composta da medici, infermieri, psicologi, volontari, si impegna per:
• ascoltare le richieste del malato;
• parlare con la famiglia, spiegando le ragioni per cui la verità può essere un atto di cura;
• accompagnare la comunicazione, con tatto e rispetto, affinché diventi occasione di intimità e autenticità.
La verità, quando è chiesta e condivisa, non toglie speranza, ma la trasforma. Aiuta a ridefinire ciò che conta, a concludere discorsi rimasti sospesi, a vivere con consapevolezza ogni istante che resta.
Conclusioni: la verità che cura.
Non si può costruire una relazione autentica sulla paura della verità.
Quando malato e famiglia si parlano, anche nel dolore, accade qualcosa di straordinario: ci si avvicina, ci si comprende, si sta davvero insieme.
Parlare della prognosi non è mai un obbligo. Ma se nasce da una richiesta sincera, è un atto di rispetto, di cura, di amore.
La Fondazione Gigi Ghirotti crede in questa verità che unisce, che consola, che apre uno spazio nuovo dove la relazione può continuare ad esistere fino all’ultimo giorno.
Per saperne di più
Leggi le pagine del nostro sito e scopri come la Fondazione Gigi Ghirotti accompagna malati e famiglie nelle fasi più difficili della vita, attraverso cure palliative gratuite a domicilio e in hospice .